“Io un ghiaccio così in parete non l’avevo mai visto…l’unica spiegazione possibile è che le nevicate monsoniche ricoprano la parete e poi si trasformi in ghiaccio… lì ho capito perché l’hanno chiamata “montagna di luce”… la sua superficie è tutta a lenti. Ovunque splenda il sole, è tutto un bagliore” (Pavel Shabalin)
Il Changabang e la prima salita
Sono poche al mondo le montagne che posso competere col fascino del Changabang, una fantastica torre di granito alta quasi settemila metri, situata nel Garhwal Himalaya che ha affascinato e fatto sognare generazioni di alpinisti. Di quota più modesta rispetto ad altre cime del “Santuario del Nanda Nevi”, le ripide pareti rocciose ricoperte da difficile ghiaccio sono state teatro di alcune delle imprese alpinistiche più importanti dell’ultimo mezzo secolo. La regione del Garwal dove si trovano i 6864m della montagna di luce è stata preclusa dallo stato indiano a qualsiasi attività alpinistica fino agli anni ’70. Questo ha contribuito ancor più ad accrescere il fascino del Changabang. Diciamolo, come essere umani, tutto ciò è proibito stuzzica ancora di più il nostro interesse… è così, non possiamo farci niente.

Bonington, Boysen, Haston e Scott ammirano il Changabang
Si è dovuto attendere fino agli anni ‘70 per la riapertura del Garwhal Himalaya e chi se non Sir Chris Bonington era pronto ai cancelli di partenza per aggiudicarsi la prima salita di questa cima inviolata. Forte già dell’esperienza accumulate sull’Everest e alla sud dell’Annapurna convince il colonnello indiano Balwant Sandhu a formare una spedizione anglo-indiana per tentare l’impressionante parete ovest.
“Su un pendio soleggiato a Lidderwat (Kashmir) Chris stava sognando il suo desiderio preferito: una spedizione internazionale su una montagna emozionante. Chris Bonnington è fortunato: la maggior parte dei suoi sogni si avvera.” (B.Sandhu,The Himalayan Journal,1975).
Così nel maggio del ’74, 53 portatori e circa 13 quintali di materiale trasportati da un innumerevole gregge di capre partono alla volta del ghiacciaio Rhamani. Sfortunatamente l’originale idea della salita viene abbandonate in favore di una linea più semplice che parte dal colle tra il Changabang e il Kalanka. Risalendo la parete sud est prima, per poi proseguire sulla cresta est Tashi Chewang, Balwant Sandhu, Chris Bonington, Martin Boysen, Dougal Haston, Doug Scott raggiungono la cima il 4 giugno 1974. Un assalto durato 13 giorni per imprimere i loro nomi nella storia della montagna di luce.

Scott si reidrata dopo la prima salita della Montagna di Luce
La parete Ovest
Negli anni seguenti solo una manciata di spedizioni riescono ad aprire nuovi itinerari sulle giganti pareti del Changabang. Una delle più importanti è senza dubbio quella di Joe Tasker e Peter Boardman dell’ottobre 1976. Descritta da Bonington come:” 1500m di pallido granito grigio, solcata da esili fessure ricoperte da un sottile strato di ghiaccio”, il versante ovest rappresentava la più formidabile parete di roccia mai tentata a quell’altitudine.
“Questa salita sarebbe tutto ciò che ho sempre voluto. Qualcosa di totalmente impegnativo, che porterebbe il rispetto di me stesso in linea con il riconoscimento pubblico che ho ricevuto per l’Everest” J.Tasker

Joe Taker e Peter Boardman
Dopo aver fissato per alcuni giorni le corde sulle dure lunghezze di misto iniziali e aver bivaccato in amaca per tre lunghissime notti, i forti venti e le rigide temperature (inferiori ai -25o C), costringono alla ritirata i due inglesi. Poco più di 600m scalati e di nuovo al campo base. Un duro smacco da incassare… Sono partiti dall’Inghilterra da una cinquantina di giorni e sanno entrambi che gli rimane una sola cartuccia da sparare. “Sono un pezzo di ghiaccio!” “Non preoccuparti, non ho nessuna intenzione di ritirarmi…” Qui si vede il carattere, la volontà e forse anche la testardaggine dell’alpinista; hai un obiettivo ben chiaro in mente, e non importa sia irrazionale o pericoloso, sai che tentare ancora una volta è sempre la giusta decisione. Venti giorni di lotta occorrono a Tasker e Boardman ha scalare i 1500m della parete ovest , difficoltà fino al VI grado e all’A3 probabilmente la più fenomenale pagina di alpinismo himalayano fino a quel tempo. Dopo solo due anni dalla “faraonica” campagna anglo-indiana, questa salita effettuata senza l’utilizzo di portatori e in completo isolamento per più di quaranta giorni ha fatto avanzare di anni luce l’alpinismo himalayano.
La diretta alla parete Sud
Gli psichedelici anni ’70 erano agli sgoccioli e la “Cortina di ferro” spaccava ancora in due l’Europa. Un “dream team” di alpinisti era però determinato a superare anche le barriere poste dalla politica per una nuova salita sul Changabang. “Voi portate i dollari e noi provvediamo a cibo, attrezzatura e traporti” questa è la proposta dei polacchi (Wojciech Kurtyka e Krzysztof Żurek) a Alex MacIntyre e John Porter per tentare una linea diretta sul versante meridionale del Changabang. Senza esitazione l’inglese e l’americano accettano… L’accordo è fatto!

Il “dream team” del 1978 (da sinistra a destra) Kurtyka, Zurek, Porter e MacIntyre
Terminata la stagione dei monsoni, nel settembre ‘78, i quattro fuoriclasse sono ai piedi della montagna di luce. Parte così un primo attacco alla parete lungo un itinerario a sinistra di quello inglese del ’76. Fissate le prime 6 lunghezze, il cattivo tempo incalza e costringe il team a fare ritorno al campo base. Dopo tre giorni di riposo, sono pronti ad un nuovo tentativo… questa volta portano con loro oltre al materiale da bivacco anche cibo per otto giorni, il che vuol dire circa 30kg di zaino a testa (non proprio lo stile alpino fast and light che intendiamo oggi). Questa volta la dea bendata è dalla loro parte! Aiutatati da una incredibile finestra di bel tempo durata più di una settimana, la squadra scala inarrestabilmente i difficili tiri di roccia, ghiaccio e di artificiale fino alla cima. Il 27 settembre il Changabang è stato nuovamente conquistato.

Kurtyka e MacIntyre durante la discesa per la cresta Est dopo la salita della parete Sud
In questi 40 anni la via non ha visto ripetizioni, questo dimostra ancor di più il livello di difficoltà tecnica e di esperienza himalayana sfoggiata da MacIntyre e compagni nell’apertura di questa linea.
Il tricolore sventola sul Changabang
Ebbene sì, anche noi italiani abbiamo il nostro posto nella storia della “Shining Mountain”. Per la precisione un gruppo di alpinisti non professionisti torinesi, guidati da Ugo Manera, riesce a raggiungere la cima del Changabang aprendo un nuovo itinerario lungo l’affilata cresta Sud. Partendo dal colle che separa i ghiacciai del Changabang e Rhamani (che prenderà poi il nome di “Colle degli Italiani”), la via segue tutta la cresta sud fino a 6400m dove si congiunge con la via giapponese della primavera ’76. Una salita effettuata a più riprese tra il 2 e il 18 ottobre’81, per quella che definiranno la loro “montagna della vita”.

Ugo Manera in cima alla Montagna di Luce 1981
Lo stile alpino conquista la parete Nord
La Nord è la più alta e intimidatoria delle pareti del Changabang,”Una sorta di El Capitan in quota, ma molto più grande e ricoperto da neve e ghiaccio.”(C.Bonington)
Ottenere il permesso non era affatto semplice (la parete si trova molto vicina al confine Cinese) ma grazie anche alle sue abilità politiche, Roger Payne nel ’96 riesce a ottenere dalle autorità il via libera per la sua spedizione. Insieme alla moglie Julia-Anne Clyma, Brendan Murhy e Andy Perkins partono alla volta di Dheli e del ghiacciaio del Bagini. Il perdurare del brutto tempo, insieme alla costante caduta di valanghe, pone fine al primo tentativo inglese dopo sette duri giorni di scalata. Il Changabang aveva rispedito a casa gli alpinisti a mani vuote.
La fama di questa parete continuava a crescere e sempre più alpinisti bramavano all’idea di risolvere questo ultimo enigma posto dalla montagna di luce.

Andy Cave cerca di riposare nella sua amaca durante uno dei bivacchi
“Ti stai godendo le vacanze, Michael?” “Molto soddisfacente,” ho risposto contemplando il nostro cibo rimanente. ”
È il giugno del ’97, quando Steve Sustand fa questa domanda a Mick Fowler. Insieme ad altre due cordate stanno cercando di aggiudicarsi la prima salita del versante nord. Andy Cave con Brendan Murphy hanno scelto lo stesso itinerario del londinese Fowler(una linea più diretta), mentre Julia-Anne Clyma con Roger Payne optano per un’altra linea(poco a sinistra). In sei sulla stessa parete, quattro dei quali sulla stessa via… Questo “traffico” impone ai due team di partire con un paio di giorni di differenza per non finire a contendersi le cenge da bivacco. I quattro accompagnati, quasi quotidianamente da forti nevicate, progredivano lentamente, alcuni giorni avanzavano solo un paio di tiri prima che il cattivo tempo o l’impossibilità di trovare una buona cengia li costringeva a fermarsi. Questi contrattempi però non scoraggiano questi tosti alpinisti, e dopo una lotta durata dieci giorni Cave e il compagno raggiungo la cima 2 giugno. Sfortunatamente una scivolata, una volta raggiunta la cresta sommitale, nella quale Sustand si rompe alcune costole impedisce alla sua cordata di conquistare la cima vera e propria. Una delle più grandi ascensioni dell’alpinismo moderno, un capolavoro di stile e difficoltà è stato compiuto sull’inviolata parete nord del Changabang!
Si sà però, che la salita è solamente metà dell’opera e che la discesa specialmente sulle grandi montagne himalayane non è mai da sottovalutare. Infatti, ad un così grande successo è legata anche una terribile tragedia. Il giorno successivo mentre allestisce una calata, il malcapitato Murphy viene travolto e ucciso da una valanga.

Brendan Murphy durante la prima salita del versante Nord
Andy Perkins commenterà così: “Rimarrà come monumento a uno dei migliori alpinisti dell’ultimo decennio” (High Magazine, ottobre ’97).
Tre giorni per entrare nella storia
Oggi a 21 anni dalla prima salita, tre francesi, tornano a far sognare gli alpinisti di tutto il mondo. Léo Billon, Sébastien Moatti e Sébastien Ratel questo è il nome dei ragazzi del GMHM di Chamonix che hanno scalato in tempo record la temibile parete nord del Changabang. Formato dall’elitè dei giovani alpinisti d’oltralpe, il GMHM (gruppo militare di alta montagna), si era già distinto sulla vetta himalayana del Pangbuk North lo scorso anno e per la ripetizione della via Solleder-Lettenbauer sulla nord-ovest del Civetta questo inverno.

L’itinerario seguito da Billon, Moatti e Ratel
Seguendo una combinazione delle vie del ’96 (tentativo di Clyma e Payne) e del ’97, dall’11 al 13 maggio, il team francese ha affrontato 1200 metri di via che portano all’anticima nord della montagna di luce. 40 tiri con difficoltà di M6/A1/V.

Moatti in azione sulla nord
Quale è stato il segreto di questo successo? Secondo Ratel il fattore che ha più contribuito alla buona riuscita della loro scalata è stata la gestione della cordata:” In tre è l’ideale. Meno peso e rotazione del leader” “In testa sei elettrizzato, e in più hai uno zaino leggero, alla fine potremmo dire che si sta meglio del secondo.” Alternandosi al comando i transalpini hanno scalato il primo giorno al centro della parete lungo l’itinerario del ’96; da qui nella giornata successiva, dopo tre lunghezze quasi orizzontali, si sono ricollegati alla via aperta da Murphy e Cave che hanno salito fino a sbucare in cresta attorno alle 19:30. Forti venti e una copiosa nevicata fanno compagnia ai tre nel loro secondo bivacco a 6650 metri di quota. La mattina seguente il tempo è sereno! I 20cm di neve fresca caduta nella notte rendono più laborioso l’ultimo tratto che li divide dalla vetta ma alle 11 eccoli in cima alla montagna di luce! Lo stile alpino portato ai massimi livelli… una scalata straordinaria che senza dubbio questa salita si candida ad essere l’impresa dall’anno.
Chapeau….