Di Federico Magni
I riflettori si sono riaccesi sulla grande muraglia della Sud del Nuptse a metà ottobre del 2017 quando la Gang des Mustaches, il nome del team francese formato da Ben Guigonnet, Fred Degoulet and Hélias Millerioux, per via dei loro baffoni, ha completato in sei giorni di ascesa in stile alpino una nuova via che raggiunge la vetta del Nuptse II a 7.742 metri. Il coronamento di un’ossessione per quella montagna durata tre anni. E’ il 2015 quando due dei tre del team vincente posano gli occhi su quella linea notata inizialmente in una fotografia. Non è il loro anno. La parte a sinistra della parete si presenta infatti troppo secca a causa di un’annata abbastanza calda. Il rischio di essere sempre esposti a crolli di roccia e ghiaccio è concreto. Sono Guigonnet ed Hélias, con Ueli Steck e Colin Haley. Nonostante l’assedio della fortissima cordata, le nevicate e il vento li costringono alla ritirata quando il gruppo raggiunge i 6.900 metri. “In quel momento decidemmo subito che saremmo tornati. Quella parete larghissima ed enorme era ormai un magnete per noi. Quando sei ancora lontano nella valle del Khumbo, a Tengboche, vedi questa parete enorme e pensi: o mio Dio, stiamo andando lì a scalare”.
Nel 2016 Millerioux e Guigonnet decidono di tornare, questa volta in compagnia di Robin Revest e Fred Degoulet. In quell’occasione le condizioni sono l’esatto opposto della situazione che avevano incontrato nel 2015. La parete infatti è ricoperta di ghiaccio e il gruppo riesce a salire abbastanza agevolmente. Nella salita decisiva riescono a raggiungere i 7.350 metri. Quando mancano trecento metri alla vetta realizzano che è troppo tardi e non farebbero in tempo a raggiungerla e fanno ritorno senza rischiare troppo all’ultimo campo. “Abbiamo preso la giusta decisione. Era troppo pericoloso”. Il fatto di essere arrivati così vicini all’obiettivo e averlo mancato poteva rappresentare il giusto pretesto per dimenticare per sempre la parete sud del Nuptse.
Attratti dalla montagna come un magnete, i francesi ci riprovano per il terzo anno consecutivo e nell’autunno del 2017 tornano sotto la Sud, questa volta come un trio senza Revest. Stabiliscono il campo base a 5.400 metri e alla mezzanotte del 14 ottobre iniziano il loro attacco decisivo. Le condizioni sono simili a quelle incontrate nel 2015, con la parete piuttosto “secca”. “Eravamo preoccupati per i primi due giorni perché la parete appariva asciutta, faceva caldo e il rischio di essere esposti a frane di roccia e ghiaccio era piuttosto concreto”, raccontano i tre. Il secondo giorno scalano un pilastro che battezzano “la ghigliottina”. Nonostante le preoccupazioni iniziali si rivela un osso meno duro di quello che avevano immaginato. Riescono a piazzare campo 2 a 6.500 metri. Con la quota le condizioni della parete non migliorano. Nel 2017 tutta la parete sembra super pericolosa. “Abbiamo accettato di prendere diversi rischi. Siamo tutti guide alpine in Francia e sulle Alpi non avremmo mai preso questi rischi”. I tre decidono di continuare aggressivi. Giorno dopo giorno guadagnano metri su metri con il costante rischio di essere esposti a frane o valanghe. Man mano che continuano, la paura diminuisce e così il senso del rischio che corrono. “Quando siamo rientrati eravamo spaventati da ciò che sarebbe potuto accadere lassù, ma in quel momento sembrava tutto normale”. Il terzo bivacco lo affrontano a 6.800 metri, appena sotto la parte più tecnica della via. Nel quarto giorno di arrampicata la Gang affronta un grande couloir tecnico con difficoltà fino a WI6 affrontando passaggi su grandi stalattiti di ghiaccio. Si fermano a settemila metri nello stesso luogo dove l’anno prima erano riusciti ad allestire il loro campo più alto. Nel precedente attacco i problemi erano iniziati quando si erano trovati ad affrontare tratti di ghiaccio verticali simili a flauti. Questa volta decidono di affrontare una linea più diretta che attraversa alcuni nevai fino ad incontrare un salto di roccia. Attraversano verso sinistra per un tiro e decidono di fermarsi per la quinta notte intorno a 7.540 metri. Il giorno successivo affrontano subito altri due tiri molto tecnici e arrancano lungo la rampa di neve finale fino a raggiungere la cima alle 3 del pomeriggio. “Piangevamo come bambini. Eravamo sfiniti”. Si fermano per venti minuti e poi iniziano a scendere. Intorno ai 7.100 metri la loro brillante ascesa rischia di trasformarsi in un disastro quando Millerioux sta aspettando ad una sosta e improvvisamente viene colpito da una roccia a una spalla che rompe anche una parte dell’allacciatura dello zaino. Il dolore è talmente forte che pensa di aver rotto il braccio. Gli altri due decidono di organizzare la discesa in modo da assistere sempre Millerioux che a quel punto si trova in seria difficoltà. Riescono a scendere fino a 6.100 metri in attesa che trascorra la parte della giornata più calda per evitare altre frane e iniziano a calarsi quando è notte toccando terra all’una del mattino. Millerioux, Guigonnet e Degoulet scrivono i loro nomi nella storia dell’alpinismo himalaiano.