Ennio Spiranelli, classe 1962 nato a Nembro (Bergamo), membro del Club Alpino Accademico Italiano.
Inizia da ragazzino a frequentare la montagna andando a caccia con il padre, poi a 17 anni s’innamora dell’arrampicata assieme ad alcuni amici e nel giro di qualche anno sale moltissime vie in tutto l’arco alpino, dalle Dolomiti al Monte Bianco, con una predilezione particolare per le Orobie.
Nel 1985 fa il suo primo viaggio al di fuori delle Alpi, alle isole Svalbard, dove sale tre cime inviolate. Negli anni seguenti si reca tre volte in Pakistan, poi in Alaska e in Groenlandia, ma senza mai trascurare le montagne di casa. In particolare nel massiccio della Presolana ha aperto numerosi itinerari sia di roccia sia di misto, alcuni diventati in seguito dei classici.
Si dedica a ogni aspetto della montagna: arrampicata sportiva, cascate di ghiaccio, salite invernali e anche alle gare di scialpinismo.
A metà degli anni ‘80 inizia a produrre abbigliamento per la montagna e da vita all’azienda Grande Grimpe.
Come hai iniziato ad andare in montagna?
Accompagnando, all’età di 13 anni, mio padre a caccia, mentre a 17 anni è iniziata la passione per l’arrampicata e un anno dopo ho salito la mia prima via nuova in Presolana.
Negli anni successivi ho seguito il classico iter di quasi tutti gli alpinisti: scalando le vie nelle nostre zone, poi in Dolomiti, al Monte Bianco e infine le spedizioni extraeuropee.
Mi è sempre piaciuto andare a cercare posti particolari e aprire vie nuove. Ad eccezione della spedizione al Broad Peak del ‘94, in tutte le altre sono sempre andato in cerca di posti poco conosciuti.
Parlaci della Presolana.
E’ la montagna di casa per tutti gli alpinisti bergamaschi. Nel ‘80 ho aperto “A Federico” con Gigi Rota e Sandro Fassi. È stata la prima via realizzata con una nuova concezione per quegli anni. Gli alpinisti dell’epoca, solitamente, salivano la via e toglievano la maggior parte dei chiodi, mentre noi l’abbiamo lasciata interamente attrezzata per renderla più fruibile a chi volesse ripeterla. Negli anni successivi è stata frequentata un sacco di volte e capitava di trovare anche 4 o 5 cordate all’attacco. Nel giro di poco tempo è diventata la superclassica della Presolana di Castione e lo è ancora adesso.
Poi ne ho aperte tante altre, “Il Tramonto di Bozard”, la “Sa.Vi.An”, la “GAN”, la “Grande Grimpe”; diciamo che in quel periodo c’erano buone possibilità di trovare zone “vergini”, anche perchè noi stavamo cominciando ad avventurarci sulle placche senza usare gli spit e ci si aprivano nuovi orizzonti. La mia preferita rimane comunque la parete Ovest e la cresta che scende verso la Valzurio.
“ In cammino con Marco e Cornelio”, salita nel 2006, a mio parere è una delle vie più belle e complete del massiccio. Sulla Ovest ho ancora un cantiere aperto da una decina d’anni.
In totale quante vie hai aperto?
In Presolana una quindicina, fra estive e invernali, e altrettante in giro nelle Orobie. E poi in Pakistan, Groenlandia, Svalbard senza contare un tentativo in Alaska sul Mount Barrille nelle Ruth Gorge. In quell’occasione abbiamo scoperto solo una volta arrivati sul posto, che altri alpinisti canadesi avevano salito la linea che avevamo in mente. Nonostante il meteo bruttissimo, abbiamo provato comunque a scalare, ma ci siamo trovati di fronte ad un granito davvero pessimo; potevi mettere uno spit a mano in pochi minuti e poi riuscivi quasi a strapparlo con due strattoni.
Tornando in Presolana, “Orobic Ice” nel ‘90 è la mia prima via nuova su terreno misto, assieme a Marco Birolini, Gigi Rota e Vanni Gibellini; per alcuni inverni ho tenuto d’occhio quella linea nella speranza che si formasse del ghiaccio, cosa abbastanza improbabile in quel massiccio perché c’è pochissima acqua. Alla fine siamo riusciti a scalarla tutta con picche e ramponi, anche sulle colate di ghiaccio che ricoprivano la roccia, un po’ come nel moderno Dry Tooling, del quale siamo stati qui dei precursori ed è stata una bella salita.
In quel periodo abbiamo fatto anche la prima invernale della GAN e qualche anno dopo della Grande Grimpe; il nome di quest’ultima è dedicato alla mia ditta: significa “grande scalata” in francese ed era il titolo di un volume di disegni di arrampicata che avevo comprato a Chamonix . Le etichette dei primi capi che confezionavo erano fatte a mano e ognuna rappresentava il disegno di quel libro.
La ditta è stata fondata nella metà degli anni ‘80 da me e mio padre; prima producevamo i cartamodelli per abbigliamento di moda, poi io ho iniziato a sperimentare e testare capi da alpinismo per un utilizzo mio e di alcuni amici e infine è partita l’attività.

Magic Biscuit
Hai iniziato a salire vie classiche, e poi?
Dopo gli anni delle grandi vie al Bianco come Pilone Centrale, Americana ai Dru, Nord delle Droites e altre, ho ripreso con più attenzione la ricerca di itinerari nelle Orobie, ed in particolare d’inverno.
Posti che in estate sono insignificanti, in inverno magari diventano veramente belli, basta avere occhio e voglia di rischiare di fare magari un buco nell’acqua; spesso non trovi le condizione adatte e quindi torni a casa con un nulla di fatto, ma fa parte del gioco. Con quel sistema ne abbiamo salite parecchie: in Presolana “Piantobaldo” dedicata a Roby Piantoni con Yuri Parimbelli e Tito Arosio, al Monte Aga “Superpiter” con Yuri e Marco “Kita” Tiraboschi dedicata a Pietro Biasini, entrambe davvero bellissime.
Socio di cordata della maggior parte di queste salite è Yuri, che oltre ad essere un carissimo amico è un fuoriclasse incredibile, e quindi quando sei nella m….. lui tira sempre fuori il jolly e siamo a posto.
Anche “80 Primavere” al Porola è stata una bella avventura con Marco Birolini: siamo stati in giro venti ore, una bella storia. Le ultime tre vie invece le abbiamo salite nella zona della val di Scalve.
Quello che mi piace è proprio immaginare la via, corteggiarla e poi cercare di salirla; lo dico sempre ai giovani di guardare le pareti con i propri occhi e non solo di guardare la relazione sul telefonino.
E quando hai iniziato anche ad uscire dalle Alpi?
Nel ‘85 alle isole Svalbard e fu molto bello; io a 23 anni ero alla prima esperienza. Tra gli altri c’erano anche alpinisti del calibro di Gigi Alippi, Pierlorenzo Aquistapace “Canela” e Annibale Zucchi. Eravamo uno squadrone, ma il bello è che siamo partiti da Bergamo con due furgoni pieni zeppi di tutto il materiale che ci serviva. Un viaggio di tre giorni ci ha portato a Tromso e da lì alle Svalbard. Una volta sul posto ci hanno portato in elicottero in una zona montuosa inesplorata ,dove abbiamo salito tre cime inviolate. Niente di particolarmente difficile, ma un ambiente straordinario. Data la presenza dell’orso bianco dovevamo muoverci portando il fucile… mai usato fortunatamente.
Poi nel ‘94 fu la volta del Broad Peak in Pakistan, con la spedizione organizzata dal Gruppo Alpinistico Nembrese (di cui ora sono il presidente) in occasione del 50° anniversario di fondazione. Con noi c’erano anche Sergio Dalla Longa e Rosa Morotti che erano in viaggio di nozze: siamo partiti il giorno dopo il loro matrimonio.
Non so onestamente se avessimo abbastanza esperienza in alta quota; la stagione era piuttosto avanzata e le condizioni piuttosto secche: pochissima neve e molto ghiaccio, che rendevano tutto più complicato. Siamo comunque arrivati a m 7100 poi il cattivo meteo ci ha costretto a rientrare al C.B. E’ stato comunque bellissimo: siamo tornati a casa tutti e tutti ancora amici, che è la cosa più importante. Dopo questa esperienza ho capito che le vie normali sulle montagne di 8000 mt non mi interessavano per niente, però mi ero innamorato follemente del Karakorum, quindi sono tornato in Pakistan nel ’97, grazie al libro “Himalaya Stile Alpino” di Stephen Venables, che consigliava la salita al Drifika. Mi aveva colpito la frase: “grandissima possibilità di fare roba nuova”, ciò che realmente mi interessava.
Con Giangi Angeloni, socio fantastico di mille avventure e altri amici, ci siamo diretti nella Valle di Charakusa: posto magnifico. Abbiamo dapprima puntato a una cima di circa m 6000, già salita qualche anno prima dagli inglesi, lungo un bel canalone di ghiaccio lungo circa 1000 mt, e qualche giorno dopo siamo saliti per 15 tiri di corda su un pilastro a fianco del fantastico K7, ma dopo un bivacco il brutto tempo ci ha costretti a scendere. L’ultimo giorno di permanenza abbiamo aperto una via nuova sul bellissimo dente di granito di circa 250 mt denominato ” Dog’s Knob”, dedicandola a mio figlio che aveva appena un anno: “Andrea Son”.
Sempre in Pakistan sono tornato nel ‘99 con Giangi, Gigi Rota e altri nella zona dello “Snow Lake”, enorme altopiano di neve posto alla confluenza dei ghiacciai Biafo e Hispar; credo sia il luogo più bello che abbia mai visto.
Dopo esserci acclimatati sul “Cornice Peak”, cima di media difficoltà di 5800 m, siamo saliti su una bellissima cima inviolata dove abbiamo trovato di tutto: roccia, ghiaccio e misto, che hanno reso splendida la scalata, culminata a una quota poco sotto i 6000 m, dandomi inoltre la soddisfazione di poter dedicare al mio grande amico Tarcisio Fazzini la vetta che ora si chiama “Tarci Peak”.
Nel 2002 l’obiettivo è stato l’Alaska: un piccolo aereo ci ha depositato sopra il Ruth Glacier, enorme ghiacciaio che scende dal Denali.
Purtroppo per 15 giorni su 20 trascorsi al campo base, abbiamo preso pioggia e neve e siamo riusciti solo a fare un paio di tentativi. La cosa curiosa era che avevamo con noi uno dei primi telefoni satellitari, di quelli con la cornetta, che mi aveva prestato il Dindo (Simone Moro); il problema era che al campo base non riceveva il segnale e quindi dovevamo camminare per circa un’ora con gli sci fino ad un colle, aspettando poi che qualcuno ci chiamasse. Abbiamo in seguito scoperto il motivo: Simone non si era ricordato di rinnovare l’abbonamento e quindi potevamo solo ricevere. Una comica.
Al momento del ritorno l’aereo che avrebbe dovuto caricarci, non riusciva più ad atterrare sul ghiacciaio perché si erano aperti moltissimi crepacci a causa delle piogge torrenziali, quindi abbiamo caricato tutto in spalla e sulle slitte, risalendo fino ad una zona chiamata Concordia, dove sarebbe stato più facile atterrare. Morale della favola: dopo due giorni di attesa sotto il maltempo e con i viveri al lumicino, siamo stati costretti a saccheggiare alcuni sacconi che probabilmente erano li da un po’. Fortunatamente all’interno abbiamo trovato dei biscotti che ci hanno”salvato”. Che storia…

Charakusa valley
Quando sei andato in Groenlandia?
Nel 2004 insieme a Giangi, Sergio Dalla Longa e Rosa Morotti.
L’idea iniziale era quella di andare sulla costa nord-occidentale a scalare delle pareti che avevamo visto su un articolo dell’American Alpine Journal, più o meno nelle zone visitate da Nico Favresse, Sean Villanueva ecc. qualche anno fa, per intenderci. Il problema è stato che non siamo riusciti a contattare nessuno del posto che ci potesse portare con una barca alla base delle scogliere, quindi abbiamo cambiato obbiettivo ed un articolo di Chris Bonington ci ha indirizzato verso il quasi inesplorato Kangikitsoq Fjord.
Dopo circa 6 ore di navigazione dal villaggio più vicino, siamo arrivati in questa fantastica zona, dove purtroppo la roccia non era come ci aspettavamo. Abbiamo comunque salito una cima posta poco distante dalla calotta artica e successivamente un bel pilastrone alto 800 metri leggermente appoggiato (22 o 23 tiri), non estremamente difficile ma molto bello, facendo un bivacco in salita più uno in discesa su una cengia comodissima: bivacco a 5 stelle con vista mare… e iceberg. La via l’abbiamo chiamata “Freedom“ e la cima “Lorenzo”, dedicata al figlio di Giangi nato poco tempo prima.
Il ricordo più vivo comunque è legato all’enorme quantità di insetti; l’articolo di Bonington parlava di zanzare e mosquitos, ma mai avremmo pensato di dover rimanere al CB con la zanzariera sulla testa e i copri pantaloni per non essere punti: davvero una cosa snervante.
Una svolta è avvenuta nel 2007 con la scomparsa di Sergio Dalla Longa sul Dhaulagiri, con il quale avevamo tanti progetti per il futuro, un evento che mi ha tolto l’entusiasmo per le spedizioni di lunga durata.
Adesso le attività che preferisco sono l’arrampicata sportiva e le vie nuove di misto in inverno, due discipline completamente diverse; in particolare la ricerca di linee cosiddette “effimere”, è la cosa che mi intriga di più.

In Groenlandia
In passato mi sono tolto anche alcune piccole soddisfazioni nel campo delle gare di sci alpinismo, partecipando, intendiamoci, senza alcun intento” bellicoso”, al Mezzalama, al Sellaronda e al Trofeo Parravicini, semplicemente felice di aver tagliato il traguardo.
Ora faccio dei bei giri ad arrampicare con mio figlio, siamo stati a Meteora, in Marocco, Sardegna, Spagna, divertendomi un sacco con la compagnia dei ragazzi.
Provo a trasmettergli un po’ della mia passione e loro ogni tanto fanno finta di ascoltarmi.
E poi l’attività del Gan Nembro che è davvero tantissima e spazia dall’arrampicata allo sci alpinismo, dalla mountain bike alla corsa in montagna e poi corsi per i ragazzi delle varie discipline, gite estive ed invernali. Insomma un po’ di tutto. Siamo 500 soci e quest’anno festeggiamo (si fa per dire vista la situazione) il 75°anno di fondazione.
Da alcuni anni do il mio contributo al progetto “Under 25” finanziato dal Gan Nembro e dal Cai Nembro, lo trovo davvero molto interessante ed è dedicato ai giovani alpinisti Bergamaschi: sotto la direzione della Guida alpina Yuri Parimbelli, organizziamo alcune uscite su roccia e ghiaccio con 5/6 giovani, che così hanno la possibilità di apprendere le tecniche da un professionista di altissimo livello. Io cerco di stargli dietro, ma è sempre più dura. Però, finchè la passione e il fisico reggono…