Di Malcolm Basso, da Stile Alpino #33

Avevo perso tutte le speranze, ero pronto a rinunciare.
Due dei miei compagni erano già dovuti tornare indietro. L’ultima speranza di riuscire a salire quella bellissima parete se n’era andata. Ero arrabbiato e triste, stanco e incapace di pensare. La spedizione stava cadendo a pezzi attorno a me. Ed eravamo ancora in Inghilterra. Arrampicare è solo una piccola parte di una spedizione Himalayana. Sicuramente un aspetto importante, forse il più divertente ma non quello che sconfigge la maggior parte delle spedizioni. I progetti himalayani sono più spesso rovinati dalla meteo, dalle malattie, dalla mancata intesa del gruppo o dalla burocrazia. Ed era la burocrazia che stava per sconfiggermi questa volta. Era marzo, dovevamo partire nella metà di maggio e mi era appena arrivata una mail in cui si diceva che la nostra richiesta di permesso per realizzare il lungo atteso sogno di scalare questa bellissima montagna era stata rifiutata. Forse è un segno che dovrei rimanere in Inghilterra e andare ad arrampicare su roccia quest’estate? Magari è arrivato il momento di rinunciare a tutta l’organizzazione e pianificazione della spedizione e guidare qualche ora per andare a scalare sulla roccia perfetta del Peak District? Ogni scalata Himalayana ha i suoi momenti bassi, nei quali ogni possibilità di fare progresso sembra impossibile e ogni sforzo pare inutile. E in questa spedizione quel momento è arrivato nella mia cucina nel nord dell’Inghilterra in un quel giorno grigio, freddo e piovoso. Ho sollevato il telefono e ho chiamato il resto della squadra inglese, Guy Buckingham e Susan Jensen per dargli la cattiva notizia del permesso e discutere il da farsi. Gli ho detto che ero pronto a rinunciare. Da quel pomeriggio però le cose hanno iniziato a prendere una buona piega per me e Guy, ma non per Susan*. Guy era calmo e ottimista, fiducioso che avremmo trovato qualcos’altro di bello da scalare. Susan era serena ed energetica, motivata a trovare un nuovo obiettivo. E mentre avevamo ancora dei grandi ostacoli da superare prima di lasciare il Regno Unito, avevamo passato la crisi: saremmo andati avanti, eravamo sicuri che saremmo arrivati alle grandi montagne. Solo qualche mese dopo Guy ed io eravamo accampati tra fiori selvatici al lato del Thirot Nala, un fiume glaciale nella regione del Lahaul nello stato indiano del Himachel Pradesh. Sopra di noi vi era la bellissima cima piramidale del Gangstang (6162 m), il nostro nuovo obiettivo. È possibile che il Gangstang sia stato scalato la prima volta nel 1945 da una squadra italiana, ma i dettagli sono scarsi visto cosa stava succedendo in Italia e in India in quel periodo. Dopo la prima salita è stato sicuramente scalato altre 5-6 volte, di solito dalla cresta sud-ovest con avvicinamento dal suo lato sud-est. Nel 2012 una squadra di veterani giapponesi, con sherpa a dare supporto in alta quota, hanno scalato la cresta est dopo essere arrivati alla montagna da nord-est.
La prima squadra a esplorare e documentare le pareti ovest e nord-ovest del Gangstang è stata una spedizione di Martin Moran del 2007. Sono riusciti a completare una salita parziale salendo un ripido couloir di neve di 600 metri sulla parete ovest per ricongiungersi alla via normale a 5800 metri. Sono anche riusciti a salire la fortezza rocciosa alla fine della cresta nord-ovest del Gangstang che hanno chiamato “Thirot Shivling” (5324 m), ma la gente locale ci ha detto che sarebbe dovuto essere chiamato “Neelkantha” come da tradizione. Martin aveva anche riportato delle fotografie della Cresta nord-ovest del Gangstang, ed erano state pubblicate in “MountainInfo” dove le avevo viste e aggiunte alla mia lista di possibili salite future (lista che ormai è più lunga di quanto lo possa essere la mia vita!) Ogni scalatore himalayano ha bisogno di una lista del genere contro i capricci della burocrazia e politica. In questo caso aveva funzionato perfettamente quando il nostro primo obiettivo era stato rifiutato a marzo. Guy non aveva bisogno di essere persuaso per scegliere il Gangstang come nuovo obiettivo! Per raggiungere il nostro idilliaco campo base del Gangstang abbiamo impegnato due giorni e mezzo di guida da New Delhi attraverso i passi Manali e Rotang. Ci muovevamo lentamente visto che eravamo in un periodo di vacanza in India e molte famiglie delle pianura raggiungono il passo Rotang per passare un po’ di tempo a rinfrescarsi sui nevai al lato della strada. Nel frattempo facciamo conoscenza con il nostro giovane ufficiale di collegamento Parmender Sharma (Parmi) e rinfreschiamo la nostra conoscenza di storia mondiale: Ipod, audiobook e podcast sono stati un grande miglioramento nell’ equipaggiamento per spedizioni Himalayane. Anche viaggi lunghissimi o giornate passate in tenda ad aspettare il bel tempo non mi fanno più paura. Dalla fine della strada nel villaggio di Nainghar abbiamo camminato per due corte giornate lungo le rive verdi del fiume Thirot Nala con il Gangstang nascosto dietro creste frastagliate fino all’ultima ora del secondo giorno. Il tempo era bello, mattinate soleggiate lasciavano spazio a un po’ di nuvolosità e piovaschi nel pomeriggio, la notte era generalmente limpida e stellata. Il livello della neve era molto alto. Un contadino locale ci aveva raccontato che quest’anno era stato un inverno molto secco quasi senza precipitazioni nevose da ottobre a aprile. La mancanza di acqua di scioglimento aveva causato grossi problemi all’irrigazione delle piantagioni. Tutta l’Himalaya era stata colpita da questa siccità, alcuni nostri amici erano stati sconfitti da condizioni pericolosamente secche nelle montagne del Nepal. Passiamo molto tempo a osservare l’affilata cresta del Gangstang, sperando che le grandi, ripide e compatte pareti che formano i gradini della cresta non siano così compatte come sembrano. Discutiamo per molto tempo se portare le scarpette da arrampicata ma alla fine decidiamo di andare leggeri e lasciarle giù. Quindi speriamo di trovare delle belle fessure nelle pareti!
Il bel tempo era destinato a finire prima o poi. Così, Guy, io e Parmi continuiamo velocemente il nostro processo di acclimatamento. Il Campo Base era a 4200 metri. Il primo giorno, dal campo arriviamo alla linea della neve per poi continuare con i ramponi fino a 5000 metri. Dormiamo a 4700 metri sotto il Neelkanta e il giorno seguente lo scaliamo prima attraverso una rampa di neve sulla parete sud-ovest e poi su facile terreno roccioso. Ormai non penso di aver bisogno di stare molto in alta quota per acclimatarmi, visto che mi sento bene e sono riuscito a scalare i 1000 metri di dislivello in meno tempo di quanto avevamo prefissato: il Neelkanta, 5324 metri, era perfetto.
Il campo base era un posto bellissimo dove passare il tempo, così ci godiamo il nostro periodo di post-acclimatamento con due giorni di riposo. Santabir Sherpa che conoscevo da Jana hut nel 2014 cucinava buonissimi pasti pieni di verdure fresche locali. La tenda cucina ci riparava dal forte sole di mezzogiorno e quando ci sentivamo attivi passavamo un po’ di tempo a giocare con i bellissimi boulder di granito sparsi tutto attorno. Il potenziale per il bouldering era immenso e ci sarebbe piaciuto sfruttarlo un po’ di più. I boulder più belli erano comunque degli highball e la paura di farci male ci rendeva più cauti (vale la pena far notare che ora L’Indian Mountaneering Foundation noleggia crash pad).

Prepariamo quattro giorni di cibo, 1800 calorie per persona di frutta secca, noci, bevande, gel energetici e tre bombole di gas. Finalmente la mattina del 6 giugno partiamo per la cresta nord-ovest. Risaliamo faticosamente la morena fino a raggiungere un torrente ghiacciato che discendeva dal ghiacciaio alla base della parete Nord del Gangstang. Essendo partiti presto troviamo neve portante e a metà mattinata arriviamo al ghiacciaio a 5000 metri. Risolviamo la nostra paura di cuocere sotto il sole di mezzogiorno grazie a un masso erratico in mezzo al ghiacciaio che ci offre un po’ d’ombra. Il nostro piano per la mattina seguente era di risalire un largo canale di neve lungo 400 metri sulla parte destra della parete nord. Speravamo che ci avrebbe portati ad un colle sulla cresta nord-ovest, così battiamo traccia fino alla crepaccia terminale per essere poi facilitati al buio. Io odio il pomeriggio prima di partire per una grande salita. Con niente da fare la mia mente si riempie di tristezza e paura. Penso alla mia morte e al tremendo impatto che avrebbe sulla mia ragazza Donna e su mia famiglia. Mi tormento per la mia ambizione egoistica. Penso al freddo e alla sofferenza che passeremo i prossimi giorni. I minuti passano lentamente. Anche Guy sentiva lo stress. Eravamo un squadra e sapevamo cosa stava provando l’altro, questo mi dava un po’ di tranquillità e mi faceva sentire meno solo; ma oltre a questo non potevamo fare molto l’uno per l’altro. In qualche modo il pomeriggio è passato, cuciniamo al crepuscolo e ci infiliamo nella nostra piccola tenda per un paio di ore di sonno. Partiamo alla una del mattino. Era fantastico potersi muovere, era la mia prima grande salita con Guy e le sensazioni erano molto buone: la notte era serena e i nostri zaini sembrano leggeri, prendiamo le decisioni in modo veloce e decisivo. Superiamo facilmente la terminale passando su un cono di una valanga e risaliamo velocemente la parte bassa del canale. A metà del canale il terreno si fa più ripido e troviamo ghiaccio grigio levigato e durissimo. Tento di passare a sinistra in un canale, ma mi trovo velocemente su terreno Himalayano formato da una fine e delicata placca di ghiaccio che ricopre roccia marcia. La scalata è delicata e insicura con protezioni inadeguate. Nella mia mente vedo questo canale qualche ora più tardi, pieno d’acqua e con sassi che rimbalzano contro i lati spaccandosi in mille pezzi. Con questa immagine nella mente mi torna la paura. Ho passato troppo tempo in questi posti, ho fatto troppi tiri di questo tipo dove una presa che salta o un piede che non tiene potrebbe ucciderci entrambi. Con la bocca asciutta e arrabbiato con me stesso per essermi di nuovo trovato in questa situazione riesco comunque a scalare bene, come sempre in queste situazioni. Il mio orgoglio nel riuscire a scalare bene in queste situazioni è contro bilanciato dal pensiero che in verità non c’è nulla di cui essere fieri. Finalmente assicurato da due viti buone inizio a calmarmi e ritorno a vedere un nuovo giorno dove tutto può essere diverso. E cosi si è rivelato. Guy parte dalla sosta a viti e quando la corda inizia a tirare continuiamo in conserva. La neve è più profonda nella parte alta del canale, così rallentiamo mantenendo comunque un buon ritmo. Era completamente chiaro quando Guy risale la insicura cornice che ci porta sulla cresta. Avevamo pensato di poter bivaccare sul colle in cima al canale. Ma era ancora presto, così continuiamo sulla spaventosamente ripida cresta di misto sopra di noi. Scaliamo alternati in blocchi, io prendo il materiale e parto. Un paio di movimenti facili per riscaldarci, poi continuiamo per la cresta e arriviamo alla prima parete ripida che ci aveva intimorito al campo base. Eravamo fortunati, la roccia era granito solido, con molte fessure e alcune placche coperte da onde e tacchette affilate. Scaliamo con i ramponi, con i guanti nelle parti più facili di roccia, saliamo in dry tooling nelle fessure più ripide e a mani nude strizziamo qualche tacca nelle sezioni di roccia più difficili. Le mie paure scompaiono, non pensavo a quello che sarebbe successo dopo, stavo solamente scalando. Non sentivo il peso del mio zaino né la quota. Non avevo paura di cadere, neanche quando salivo sezioni delicate e di lettura di un 6a+. Uno dei pensieri che mi ricordo di aver avuto era lo stupore nel pensare che la tecnica che avevo affinato su piccoli massi e blocchi vicino a casa nello Yorkshire era proprio quello di cui avevo bisogno in questa grande arena. Guy stava scalando altrettanto bene e riuscimmo a salire molto in quel pomeriggio.

Traversiamo la prima Torre e continuiamo oltre, ma la cresta è troppo fine e mentre inizia a fare buio non troviamo un posto da bivacco. Come sempre la cengia dopo sembrava più promettente ma naturalmente non lo era; alla fine ci troviamo a scalare indietro, giù per mezzo tiro e mettiamo la tenda su una cornice. Metà del posto da bivacco è appesa nel vuoto sopra la parete ovest, l’altra metà era parte della cornice sopra la parete nord. Ma le soste erano buone e la sensazione di essere in una tenda ci rilassava, e siamo a riusciti a riposare. Ma non ci dimentichiamo che sopra di noi c’è “la cittadella”. La “Prima Torre“ e “La cittadella” erano i nomi che avevamo dato, dal comfort del campo base ai due gendarmi sulla cresta. Ieri eravamo riusciti a passare la Prima Torre, ma come avremmo fatto con la Cittadella? Sapevamo che avremmo dovuto passare attorno alla cresta ovest. Così, dopo un tiro di riscaldamento, “il tiro della colazione”, abbiamo iniziato a guardare per una linea che ci avrebbe portato giù dalla cresta e sulla parete ovest. Ed era proprio lì, dietro l’angolo c’era un sistema di diedri e di canali che ci avrebbero portati oltre La Cittadella. Un passaggio verso destra, una chiusura a prendere una tacca e un passaggio delicato a muovere un rampone: la strada sembrava aperta. Il secondo giorno è un po’ offuscato, riesco solo a ricordare qualche movimento e un paio di sezioni. Dopo il primo movimento di 6a+ non mi ricordo niente di particolarmente difficile, ma ogni tiro era da scalare. La roccia era meno solida e la scalata più mista. Continuavamo rapidamente anche se aveva nevicato nel pomeriggio. Oltre a questo non ricordo niente, se non che alla fine del pomeriggio avevamo aggirato la Cittadella e ripreso la cresta su una bellissima sella piana e larga. Potevamo bivaccare senza bisogno di imbrago, dormimmo molto bene quella notte. La mattina dopo il tempo era buono, la valle era piena di nuvole, e mentre Guy riprende a scalare da primo, il sole illumina la cresta. Durante La prima parte del giornata saliamo alcuni dei tiri più belli della via. La Torre Grigia era l’ultima parte ripida della via della quale ci eravamo preoccupati dal campo base. Per fortuna, anche se sembrava molto ripida questa sezione, ce l’abbiamo fatta. La roccia era cambiata da rossa a grigia, c’era più ghiaccio nelle fessure. Ma la roccia era a blocchi ed era facile trovare agganci e piazzamenti. In una sezione devo incastrare le picche in due fessurine molto fini con piedi precari, gratto con i ramponi sulla placca finché non riesco ad alzare il piede su una cengia. Una volta ristabilitomi vedo un grosso buco attraverso la cresta che guarda giù nell’immensità della parete ovest. La Torre Grigia era stata divertente, il tempo era buono e a questo punto avevamo una vista stupenda. Non avevamo avuto molto tempo per studiare la topografia della zona e quindi non riconoscevamo nessuna delle cime intorno a noi, ci sentivamo come le uniche persone in una zona non ancora mappata. Mentre la mattina diventa pomeriggio, la cresta inizia a diventare la parete nord e dopo un’ultima placca, il ghiaccio diventa l’elemento predominante della parete. Ghiaccio grigio, levigato dallo spindrift, duro e difficile da salire, richiede la massima attenzione. Ormai a quasi 6000 metri l’altitudine inizia a giocare la sua parte, i polpacci iniziano a fare male a causa della mancanza di ossigeno. Dopo le sezioni più ripide ci troviamo a piegare la testa sulle nostre piccozze annaspando per un po’ di ossigeno. Non ci stavamo divertendo molto durante questa parte della salita. Poi si è alzato anche il vento ed è iniziato a nevicare, a quel punto ci siamo divertiti ancora meno. Salivamo alternati, scalando tiri corti e indossando il piumino. La visibilità era poca e non sapevamo quanto mancasse ad arrivare in cima. Discutemmo se e dove bivaccare, ma da nessuna parte riuscivamo a trovare un posto adeguato. La cresta pareva continuare all’infinito nelle nubi. Pareva ci fosse un punto dove sembrava spianare, ma con la luce piatta e le nubi non riuscivamo a trovare un senso della scala. Era metà tiro sopra di noi o mancavano ancora cinque tiri? Era solo metà tiro da noi, ed era la cima! Il mio primo pensiero è stato che presto potevamo fermarci e montare la tenda. Recupero Guy e dopo un veloce festeggiamento e un selfie, la nostra priorità era trovare una via di discesa nelle nuvole. Fortunatamente le nubi si aprirono per un momento e riuscimmo a vedere la cresta sud-ovest scendere sulla destra: iniziammo la discesa. Scendemmo 100 metri sulla cresta prima di fermarci a campeggiare. Eravamo entrambi molto stanchi, ma riuscimmo a sciogliere un po’ di neve prima di addormentarci. Nevica la maggior parte della notte e continua a nevicare mentre suona la sveglia, così torniamo a dormire. Il cielo si apre verso metà mattina e continuiamo la discesa attraverso neve fresca fino alle ginocchia. A un certo punto dobbiamo riprendere quota per superare un dosso sulla cresta e Guy fa il lavoro eroico di battere traccia in salita. Arriviamo alla cima del canale di neve Moran a 5600 metri e lo scendiamo con quattro doppie. Arrampichiamo all’indietro tutto il canale e finalmente scendiamo col sedere fino alla terminale. Ci allontaniamo dal Gangstang traversando un ultimo nevaio per raggiungere le rocce della morena che dovremmo seguire fino al campo base. Ci sediamo e ci togliamo il casco, imbrago e ramponi: siamo finalmente salvi. Era una bellissima mattinata, resa ancora più bella dall’aver scalato la nostra montagna e essere tornati per raccontare l’avventura. Ci abbracciamo, mangiamo gli ultimi avanzi e beviamo l’ultimo sorso d’acqua. Quasi piangiamo, la spedizione che quasi non era partita era già quasi finita.

PRIMA SALITA DELLA CRESTA NORD-OVEST DEL GANGSTANG (6162m)
Lahaul, Himachel Pradesh, India
da Malcolm Bass and Guy Buckingham.
7-10 Giugno 2016
1162m verticali, 1500m di sviluppo
6a+, M4